giovedì 30 luglio 2015

Attacco al Gay Pride di Gerusalemme

[1] At Least 6 Stabbed at Jerusalem Gay Pride Parade. - Haaretz

[2] Lehava. - Wikipedia

Non è in cielo offre la propria solidarietà alle sei persone pugnalate dal recidivo Yishai Schlissel al Gay Pride di Gerusalemme (vedi [1]), e ringrazia tutte le forze politiche e religiose che in Israele hanno fatto altrettanto.

Esecra altresì la presa di posizione del gruppo Lehavah, su cui (secondo [2]) i servizi segreti israeliani stanno indagando per dichiararla organizzazione terroristica.

Non solo e non tanto per aver loro dichiarato un Gay Pride una  "marcia abominevole", ma soprattutto per aver sostenuto di essere comunque contro il "pugnalare gli ebrei", cosa che va considerata "incitamento all'odio etnico", in quanto implicitamente afferma che la vita dei gentili (ovvero, di coloro che non sono ebrei secondo i loro standard) vale di meno.

Raffaele Yona Ladu

martedì 14 luglio 2015

U(ma)nità a due : Differenze e identità di genere / Miriam Rocca


Il libro [1] ha il merito di aver rilevato (ad onta dell’ignoranza che l’autrice palesa della lingua ebraica) l’importanza di Genesi 2:23 – lasciamo la parola all’autrice:
Ricapitolando infatti possiamo dire che l’uguaglianza è data dall’appartenenza di ambedue i sessi alla specie umana, conseguenza questa dell’identità della sostanza (“Questa volta lei è carne della mia carne e osso delle mie ossa” Gen. 2 – [sic]), che dà a uomo e donna la stessa materia corporale e la stessa forma in quanto entrambi ad immagine di Dio …
Purtroppo, la chiarezza del testo biblico (come ho già evidenziato qui, in ebraico ‘etzem significa sia “osso” che “essenza”) non ha dissuaso l’autrice dal tentare di far rientrare dalla finestra l’essenzialismo cacciato dalla porta.

Nel libro lei dà un’utile lezione di metafisica aristotelico-tomista, ed il principale argomento che ella usa è la nozione aristotelica e tomistica di anima forma corporis, completata dall’affermazione di Edith Stein secondo cui uomini e donne hanno anime diverse.

Qui si va però contro sia Aristotele che Tommaso d'Aquino. Aristotele ritiene che tutte le anime umane abbiano la medesima struttura, e perciò la medesima forma - le differenze tra gli individui sono dovute alla diversa materia.

Poiché in Aristotele l'essenza si riconduce alla forma, ne consegue che in lui tutti gli esseri umani hanno la medesima essenza. Senza avvedersene, lui ha tratto la medesima conclusione dell'autore biblico.

Un bel brano talmudico (bSanhedrin 38a) esprime un concetto simile, affermando che Dio è migliore di qualsiasi zecca, perché, se un uomo da un solo stampo conia monete tutte uguali, Dio Benedetto dallo stampo del primo uomo ha creato individui tutti diversi.

Non che le donne debbano ringraziare Aristotele: se per lui la donna non ha un'essenza diversa dall'uomo, cionondimeno è un uomo mancato - quindi inferiore a lui.

Più articolato è il pensiero di Tommaso d'Aquino, che affronto con l'aiuto della tesi di dottorato [2] (esposta qui in forma condensata), discussa nel 1978 all'Angelicum di Roma - ovvero, l'università dei Domenicani, che hanno tutto l'interesse a che il pensiero del loro illustre confratello venga correttamente esposto.

Secondo l'autrice della tesi, Tommaso d'Aquino, pur ritenendo la donna inferiore all'uomo (e questo non va dimenticato), la ritiene della sua stessa essenza; traduco l'importante brano:

L'essenziale eguaglianza di tutti gli umani
Uno studio della natura della donna per San Tommaso deve iniziare con la sua teoria dell'eguaglianza essenziale o specifica di tutti gli esseri umani. Per lui la donna non è una specie inferiore all'uomo; entrambi appartengono alla stessa specie ed hanno la stessa natura: sono essenzialmente uguali. Questo lo si vede nelle opere dell'Aquinate nella sua teoria dell'anima razionale (in possesso sia degli uomini che delle donne) come la forma sostanziale di tutti gli umani: nella sua descrizione della differenza sessuale come di qualcosa che pertiene non alla forma, ma alla materia od al corpo; nella sua asserzione che sia gli uomini che le donne hanno l'immagine di Dio in virtù della loro comune natura intellettuale; attraverso il suo argomento della necessità della donna per completare la natura umana; ed attraverso il suo insegnamento che gli uomini e le donne hanno il medesimo fine sovrannaturale ed i medesimi mezzi per conseguire tale fine.
Per l'Aquinate, come per Aristotele, l'uomo è una composizione di anima e corpo, eppure un'unità sostanziale; la relazione tra l'anima ed il corpo è la relazione atto-potenza della forma e della materia. L'anima umana come forma attua il corpo, rendendolo vivo e rendendolo un corpo umano, componendo con la materia o corpo un sinolo [supposit], l'uomo. Sebbene semplice, immateriale, sussistente ed incorruttibile, l'anima umana differisce dalle altre forme sussistenti per la sua stessa natura, che è quella di formare ed essere unita con un corpo umano; l'anima umana allora è sia cosa sussistente che forma sostanziale, è il primo atto del corpo, e dà al corpo il suo atto di esistere, il suo modo di esistere, ed essere, semplicemente. [1]
Ma la forma di una cosa determina la sua natura od essenza, dà alla cosa la sua definizione, e la rende parte di una specie. [2] Che cos'è una cosa, allora, è determinato dalla forma di quella cosa, non specificamente dalla sua materia. Dacché uomini e donne hanno entrambi la stessa forma sostanziale di anima razionale, essi sono essenzialmente uguali ed appartengono alla medesima specie. [3]
Nel suo Commento alla Metafisica di Aristotele, Tommaso discute direttamente questa questione dell'essere [o meno] la donna della stessa specie dell'uomo. Sebbene maschile e femminile siano contrari, e la differenza specifica abbia sempre la natura della contrarietà, Tommaso concorda con Aristotele che le donne non differiscono specificamente dagli uomini. Soltanto il tipo di contrarietà che pertiene alla forma causa differenze tra le specie; dacché la contrarietà di maschile e femminile pertiene non alla forma, bensì alla materia, non è capace di differenziare la specie: "Unde relinquitur quod masculus et femina non differant secundum formam, nec sunt diversa secundum speciem." ["Dal che risulta che il maschio e la femmina non differiscano per la forma, e non sono diversi secondo la specie"] [4] Gli uomini e le donne hanno quindi la medesima forma sostanziale che li fa essere quello che sono. Pertanto essi sono il medesimo tipo di essere; sono eguali in essenza.
Quest'eguaglianza fondamentale degli uomini e delle donne nella loro natura di umani è confermata da San Tommaso nelle sue discussioni dell'immagine di Dio, che è in tutti gli uomini. L'immagine di Dio consiste principalmente nella natura intellettuale: è rispetto all'anima dell'uomo (in cui non c'è differenza di sesso), non rispetto al suo corpo, che egli è fatto ad immagine di Dio. [5] Dacché tutti gli uomini, sia maschi che femmine, sono formati da un'anima razionale, essi hanno tutti l'immagine di Dio in ragione della loro natura intellettuale. [6]
L'immagine di Dio nell'uomo, spiega Tommaso, consiste nell'abilità della natura intellettuale dell'uomo di imitare Dio precisamente nella comprensione e nell'amore di Dio per Se stesso. Ci sono tre gradi di quest'imitazione: tutti gli uomini sono l'immagine di Dio per il possesso della loro natura intellettuale; inoltre, gli uomini giusti imitano Dio in più alto grado attraverso la grazia; ed infine nello stato di gloria i beati imitano l'amore e la conoscenza di Dio di Se stesso in modo perfetto. [7] È chiaro che le donne non sono escluse da alcuno di questi tre gradi di imitazione di Dio: esse condividono la medesima natura intellettuale dell'uomo, possono beneficiare della medesima grazia, e grazie ad essa ottenere la condizione dei beati. [8]
All'obiezione che non tutti gli uomini hanno l'immagine di Dio dacché della donna, che "è un individuo della specie umana" disse San Paolo che era non l'immagine di Dio, ma solo dell'uomo, San Tommaso risponde che la natura intellettuale che è il "significato principale" dell'immagine, e la causa o la condizione di tutti i tre modi di essere ad immagine di Dio, si trova sia negli uomini che nelle donne. [9]
Queste sono le note:
[1] S.T. I, 75 and 76.
[2] In Met. Exp. II, 4.
[3] S.T. I, 93, 4, ad 1.
[4] In Met. Exp. X, 11.
[5] S.T. I, 93, 3; Q.D. de Anima XIV.
[6] S.T. I, 93, 4, ad 1.
[7] Ibid, c.
[8] Ibid, ob. 1.
[9] Ibid, ad 1.
Al che uno si chiede a qual cattolico sia mai venuto in mente di essenzializzare la differenza sessuale e ritenerlo parte essenziale della propria fede. E come Miriam Rocca pensa di conciliare la sua posizione con quella del Dottor Angelico.

Esistono autori ebrei che ritengono che esistano anime maschili e femminili, ma probabilmente la differenza di genere, pur rilevante, non tocca l'essenza delle medesime.

L'autrice invece parte dal presupposto che le anime di uomini e donne abbiano diverse forme, e ne trae perciò conclusioni volte ad evidenziare l’irriducibile differenza tra uomini e donne.

L’autrice cerca di propugnare la pari dignità di uomini e donne, ma ritiene che sia gli uni che gli altri siano vincolati al proprio destino di genere (che lei chiama aristotelicamente causa finale); non solo codesta “pari dignità” sembra estremamente modesta per tutti, ma la sua concezione del destino di genere dà il destro a feroci affermazioni transfobiche ed omofobiche.

Le più gravi sono il dar retta ad Alessandra Graziottin quando sbaglia alla grande e mostra di ritenere la disforia di genere una patologia (il DSM-V nega), e l’omosessualità effeminata una sua varietà (dal 1973 non è più considerato vero); invece, quando afferma che transessualità ed omosessualità possano essere il prodotto di cattiva educazione, l’autrice sbaglia da sola.

Raffaele Yona Ladu


giovedì 9 luglio 2015

Una cosa consentita dall'halakhah ma non dalla Legge 40






L'articolo [1], in cui Linda Gradstein spiega come è riuscita a ritornare fertile dopo due menopause precoci, e ad avere due bambini (oltre ai due che aveva già) grazie ad una pozione di erbe cinesi (non si sa se la medicina ufficiale abbia poi indagato su quelle erbe) mi ha molto divertito, anche per un curioso particolare.

Il primo trattamento fu rapidamente efficace, tanto che il ginecologo dell'autrice previde che lei avrebbe ovulato molto presto - troppo presto: appena cinque giorni dopo il mestruo, quando l'halakhah (legge religiosa ebraica) esige che ci si astenga dai rapporti sessuali fino a sette giorni dopo il mestruo.

Che fare? L'autrice non poteva essere certa di avere altre occasioni oltre a quella, e doveva coglierla per forza.

La sua insegnante di Talmud provò a chiamare il famoso rabbino Shlomo Riskin (recentemente caduto in disgrazia: il Gran Rabbinato d'Israele si rifiuta di riconoscere le conversioni operate da lui), che però disse che, avendo ella già avuto due figli, un maschio ed una femmina, lei aveva già adempiuto al comandamento di Genesi 1:28 ("Siate fecondi e moltiplicatevi"), e perciò il suo bisogno di maternità non era così pressante da meritare un'eccezione alla regola.

Alcuni amici ortodossi di lei le fecero notare che la Bibbia proibisce di avere rapporti sessuali solo durante il mestruo, ed i sette giorni successivi sono una "siepe" aggiunta dai rabbini per maggior sicurezza - si poteva quindi ignorare l'aggiunta senza tradire lo spirito della norma.

Non è un caso di scuola: molte donne sono abitualmente nella situazione in cui si era trovata l'autrice, ovvero di ovulare troppo a ridosso del mestruo per concepire se rispettano la norma rabbinica, e chiedono un'esenzione motivandola con il fatto che la norma rabbinica impedisce loro di rispettare il ben più importante imperativo biblico.

Purtroppo, molte donne non si rendono conto di questo, e lasciano passare i loro anni migliori prima di rendersi conto del perché non riescono a diventare madri.

Tornando all'autrice, la sua insegnante di Talmud, la stessa che aveva chiamato inutilmente il rabbino Riskin, trovò l'uovo di Colombo: la fecondazione assistita!

Il divieto di rapporti sessuali durante il mestruo (ed i sette giorni successivi), così come il divieto di adulterio, viene violato solo se la donna si lascia inserire il pene nel corpo, non se si lascia inserire il seme! Ed infatti la fecondazione assistita eterologa dà assai meno problemi agli ebrei che ai cristiani.

La nostra autrice non aveva però bisogno di un donatore diverso dal marito; divertente dettaglio è che, poiché una delle figlie stava male, e non si poteva lasciarla in casa da sola, prima andò il marito alla "banca" a "depositare" il seme, e poi l'autrice a "prelevarlo"(!)

Missione compiuta - l'autrice ebbe così il suo terzo figlio. La fortuna dell'autrice fu di vivere in Israele - in Italia questa manovra le sarebbe stata vietata.

Infatti, come ricorda [2], la mai abbastanza deprecata Legge 40 è scritta così male da sancire, all'articolo 4 comma 1 [vedi 3]:
Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico.
Il caso di "impossibilità morale a concepire altrimenti", quello dell'autrice, non è stato contemplato, offendendo così l'intelligenza degli elettori (che votano e pagano deputati e senatori perché legislino al meglio), e la libertà religiosa delle donne ebree ortodosse come l'autrice, che possono trovarsi obbligate a scegliere tra la loro religione e la maternità.

Una persona potrebbe dire che lo scrupolo religioso dell'autrice era una fisima, ma va detto che non è una fisima della stessa qualità di chi negli USA cerca di appellarsi alle proprie convinzioni religiose per negare alle coppie same-sex il matrimonio, anche dopo la recente sentenza della Corte Suprema [vedi ad esempio 4].

Infatti questi giudici ed impiegati pubblici (non ministri del culto, badate bene) che si rifiutano di compiere i loro doveri  (per esempio, quello di meritarsi la paga, di mantenere il giuramento di fedeltà, e di amministrare la legge con imparzialità) hanno messo il loro diritto alla libertà religiosa in rotta di collisione con i diritti umani fondamentali (alla dignità umana, all'eguaglianza, al matrimonio, alla famiglia, per cominciare) di altre persone, costringendo così i tribunali a decidere quali debbano prevalere.

Credo che questa loro sfida alla Corte Suprema USA finirà come è già finita in Francia e Spagna: non c'è diritto all'obiezione di coscienza sul matrimonio same-sex, e l'unico modo per un dipendente pubblico per non celebrarlo è chiedere il trasferimento ad altra mansione o dare le dimissioni.

Cattolicamente parlando, il caso di coscienza non si pone, per i motivi spiegati da P. Thomas Reese SJ in [5]; e, ebraicamente parlando, la legge del paese è legge,  ed i doveri dell'uomo verso il suo prossimo prevalgono su quelli verso Dio - l'autore di Matteo 5:23-24 non ha detto niente che un ebreo non potrebbe condividere. 

Tornando all'autrice, il suo aver voluto la fecondazione assistita anziché la congiunzione carnale per motivi religiosi non ha leso i diritti di nessuno - non ci sarebbe stato motivo di negargliela. Tuttalpiù le si sarebbe potuto far pagare il (limitato) costo della procedura, visto che non doveva ovviare ad una patologia.

L'ebraismo si è fatto la fama di essere una religione inutilmente puntigliosa, e non è del tutto immeritata; ma è una puntigliosità molto più attenta alle persone del legislatore italiano!

Questi, nel tentativo di colpire le persone di orientamento sessuale difforme, ha colpito anche le persone di fede religiosa difforme (o di nessuna fede), per le quali separare la sessualità dalla riproduzione non solo non crea problemi etici, ma risolve situazioni altrimenti incresciose.

Provate però a spiegarlo a chi giustifica la propria omofobia/bifobia/transfobia in nome della propria religione: non capirà nemmeno di che state parlando.

Raffaele Yona Ladu

martedì 7 luglio 2015

Laicità insufficiente in Israele



Parecchio spiace osservare che lo stato d'Israele sta diventando la dimostrazione per assurdo dell'importanza della laicità dello stato.

Secondo [1], l'attuale ministro israeliano degli affari religiosi David Azoulay si è permesso il gran lusso di dichiarare che gli ebrei riformati non possono essere considerati ebrei.

Non è la prima volta che il ministro in questione ha attaccato gli ebrei non ortodossi, tant'è vero che i riformati hanno chiesto le sue dimissioni, in quanto lo ritengono incapace di essere il ministro di tutti i cittadini israeliani.

Secondo [2], Benyamin Netanyahu si è reso conto della frittata che ha fatto il suo ministro, ne ha pubblicamente preso le distanze, e lo ha convocato per spiegargli appunto che lui deve essere il ministro di tutti i cittadini israeliani.

Il problema, purtroppo, non è solo nel ministro, o nel partito a cui appartiene (lo Shas), ma nel fatto che nel migliore dei mondi possibili non dovrebbe esistere un Ministero degli Affari Religiosi.

Questo per il semplice motivo che un ministero amministra risorse pubbliche, ma in un paese moderno lo stato non distribuisce risorse pubbliche a nessuna religione.

Azoulay dice cose che molti ebrei ortodossi dicono - ritengono la loro denominazione il metro campione dell'ebraismo, in diritto di giudicare l'ebraicità di chiunque; è una cosa perlomeno maleducata se a farla è un privato cittadino, e Netanyahu ha dovuto ammettere che è politicamente rovinosa se la fa un ministro.

Purtroppo, è nella logica di un Ministro degli Affari Religiosi dire queste cose: se il suo ministero distribuisce risorse pubbliche tra le confessioni religiose, deve accertarsi che la parte riservata agli ebrei sia ripartita solo tra chi è ebreo, altrimenti si commette peculato.

Quello che sta accadendo negli USA (ovvero che le comunità islamiche hanno promosso una raccolta fondi in pro delle chiese cristiane nere distrutte dagli incendi dolosi) potrebbe essere un reato in Israele se l'aiuto dei mussulmani ai cristiani viene dato con fondi ricevuti dal governo israeliano anziché con le offerte dei fedeli - se si facesse una simile raccolta fondi, occorrerebbe una contabilità attenta per dimostrare che non si sta coprendo una distrazione di fondi pubblici.

Ci si lamenta che Azoulay ha dato la risposta sbagliata alla domanda: "Chi è ebreo per il Ministero degli Affari Religiosi?", ma è la domanda che è assurda, perché chi la pone (il Ministero degli Affari Religiosi) non dovrebbe nemmeno esistere.

Le confessioni religiose dovrebbero essere considerate enti non-profit, che campano senza contributi pubblici. E mi va bene se le offerte dei fedeli, oculatamente amministrate, hanno consentito loro di crearsi un patrimonio.

Negli USA l'impossibilità per le religioni di accedere ai fondi pubblici ha portato ad un enorme sviluppo della filantropia, in tutte le religioni, in quanto tutti sanno che se vogliono i loro luoghi di culto, i loro ministri del culto, le loro scuole religiose sviluppate in tutti i gradi che vanno dall'asilo alla facoltà teologica, la loro assistenza religiosa spirituale, materiale e spesso sanitaria, nonché i loro media religiosi, devono mettere mano al portafoglio - e sapere che i più fortunati devono pagare anche per i meno fortunati.

In Italia non c'è questa mentalità - si considerano i "servizi religiosi" un atto dovuto, senza rendersi conto che se non paga il fedele, paga il contribuente, e questo vuol dire che uno dei due condiziona l'altro: o il fedele estorce denaro al contribuente (quello che accade in Italia ed Israele), oppure il contribuente sorveglia il fedele (il modello cesaropapista delle chiese cristiane ortodosse, imitato dai paesi islamici con i loro muftì).

Inoltre le statistiche israeliane mostrano che, anche se in teoria il Ministero degli Affari Religiosi eroga denaro a tutte le religioni presenti in Israele, la proporzione che va agli ebrei ortodossi è superiore alla loro proporzione della popolazione israeliana. È una delle tante distorsioni che evidenziano la mancanza di laicità dello stato israeliano.

Raffaele Yona Ladu

lunedì 6 luglio 2015

Basta Rabbini, voglio un Rebbe!



Dopo aver letto e tradotto (a beneficio degli amici cattolici) l'articolo [2], ho incontrato l'articolo [1], che mi ha affascinato anche se mi sento lontano dal chasidismo, e per il profitto e l'edificazione di tutti lo traduco.

Abbiamo sentito abbastanza Rabbini sul matrimonio gay, ora ci serve un Rebbe.

Ysoscher Katz - 6 Luglio 2015

La conversazione degli ebrei ortodossi sulla decisione della Corte Suprema sul matrimonio gay mi ricorda perché sono "Modern Chassidish = Chassid Moderno" e non "Modern Orthodox = Ortodosso Moderno".

Ci sono molte differenze tra questi due filoni, ma quella fonamentale è questa: le loro opinioni sono molto diverse sul ruolo dell'Halacha (legge ebraica) nella vita religiosa. L'ebreo ortodosso moderno fa esperienza del mondo solo attraverso il prisma dell'Halacha, mentre la visione del chasid moderno è più ampia e comprensiva. L'Halacha è quello che dà forma ed ispirazione all'osservatore ortodosso moderno. È inoltre il barometro esclusivo che egli od ella usa per determinare la validità della vita di qualcuno e la legittimità delle sue scelte. D'altro canto, per il chasid moderno, l'Halacha è solo una cornice, un modo di vivere che crea un'infrastruttura in cui la religiosità individuale cresce e fiorisce. La competenza del chasid va molto oltre l'osservanza dei comandamenti. Lui permette ad un più vario mix di considerazioni teologiche di informare le sue prese di posizione religiose ed il suo atteggiamento verso gli altri.

Finora, la reazione della leadership ortodossa alla decisione della Corte Suprema è stata esclusivamente, strettamente halakhista (legalistica) - proprio sulla falsariga di come avrebbe reagito il Gaon di Vilna. La risposta dei rebbe chasidici che seguono il Ba'al Shem Tov sarebbe stata assai diversa, nel tono e nel contenuto. Questa è la voce di cui tanto si sente la mancanza nella nostra comunità. Mentre noi abbiamo la benedizione di un'abbondanza di rabbini che opinano sulla decisione e sulle sue conseguenze, abbiamo disperato bisogno della voce di un rebbe. La situazione delle persone gay presenta una seria sfida al credente ortodosso. Il rabbino ed il rebbe hanno dei ruoli clericali assai da interpretare in questo enigma religioso. Il ruolo del rabbino è di giudicare, quello del rebbe di fornire cura pastorale. Il rabbino, guidato dal Talmud e dai codici, opina ed aggiudica, mentre il rebbe, il cui pensiero halachico è aumentato da un'orientamento spiritualista, scansa i giudizi per concentrarsi sulla cura spirituale.

Mentre il teologo chasidico attinge a molte fonti tradizionali, ce ne sono due che si evidenziano come particolarmente  potenti. Una è una lezione piena di intuizioni insegnata nel Talmud dalla moglie di Rav Meir. Proponendo un'approccio sfumato verso il peccato, lei ammonì il marito, che per errore confondeva il peccato con il peccatore. La sua comprensione del compito pastorale fu che il devoto può separare la persona dal suo comportamento, andando oltre i suoi misfatti passati per vedere l'umanità intrinseca in ogni essere umano. Su queste linee c'è una frase talmudica che loda il criminale che chiede l'aiuto divino prima di commettere un crimine. Quest'insegnamento provocatorio ci impone di capire che ci possono essere significati spirituali anche nei momenti in cui la vita di un individuo non è in consonanza con i precetti religiosi dell'Halacha.

Mentre gli halachisti esplorano le minuzie della legge ebraica  per vedere se l'ortodossia può dare spazio alle persone gay al loro interno, i rebbe hanno un diverso ruolo da giocare. I rebbe hanno bisogno di essere gli accompagnatori spirituali di queste persone, che camminano insieme con loro nell'arduo viaggio di riconciliare la loro convinzione religiosa con la loro predisposizione sessuale intrinseca, aiutandoli a santificare questo viaggio tortuoso nel processo. C'è una storia che mi piace su Rav Levi Yitzchak di Berdichtov. Mentre camminava un giorno per la strada, un giorno notò un seguace dire le sue preghiere quotidiane mentre stava oliando le ruote del suo carro. Invece di reagire con indignazione. egli mise da parte il suo disagio legalistico, si volse al cielo, e disse: "Dio, guarda il tuo meraviglioso popolo! Gli piace tanto pregare che anche quando stanno oliando le ruote si volgono comunque a te per pregare e supplicarti". Da chasid, egli consentì alla sua sensibilità pastorale di prevalere sulla sua sensibilità giuridica. Invece di sgridare il chasid per la sua mancanza legalistica, scelse di santificare proprio quel peccato, pensando che un simile posizione avrebbe portato ad una superiore crescita spirituale.

La voce legaistica ha dominato la sfera pubblica ortodossa - ma i nostri fratelli e sorelle gay meritano di avere l'asprezza della certezza morale smussata dalla tenerezza della cura pastorale spiritualmente infusa. La storia determinerà che meta prenderà il viaggio dell'omosessualità nell'ortodossia. Il ruolo del chasid moderno è di garantire che questo viaggio, che si spera porti le persona ad una maggiore osservanza religiosa, sia il più sacro possibile. Spero che l'importante voce del rebbe si aggiunga presto alla cacofonia di voci religiose su questo problema. I nostri fratelli gay la meritano e ne hanno disperato bisogno. Per quanto mi riguarda, non vedo l'ora di essere parte di questa squadra. Anche se mi piace studiare e praticare l'Halacha, io lascio il legalismo di questa questione particolare ai miei colleghi rabbini che ci guadagnano da vivere. La mia anima chasidica moderna mi porta verso un'altra direzione, dacché gravita più verso il punto di vista pastorale di questo complesso problema. Qui è dove incontro la divinità inclusa in ogni essere umano, indipendentemente dalle azioni, dal credo o dall'orientamento sessuale.

Ysoscher Katz è il presidente del Dipartimento di Talmud alla Scuola Rabbinica della Yeshivat Chovevei Torah, ed il  Direttore del Lindenbaum Center For Halakhic Studies.

martedì 30 giugno 2015

Amensour con Levinas contro i no-gender



L'editore Quodlibet, pubblicando [1], ha affidato il commento a Giorgio Agamben ed a Miguel Amensour; di quest'ultimo commento ritengo opportuno citare un brano:
Occorre distinguere accuratamente due movimenti nella progressione del testo: da un lato, la valorizzazione del privilegio accordato all'esperienza del corpo biologico; dall'altro, la definizione, la nominazione di una nuova Stimmung che conferisce all'hitlerismo la sua dimensione ontologica, ovvero l'incatenamento. Precisiamo che Levinas non si accontenta di constatare l'incatenamento, di registrarlo come un effetto inevitabile, quasi automatico, del primato del corpo biologico. Egli vi scorge molto di più. Lo mette in rilievo come un modo di essere, un valore della nuova società, una concezione del destino umano che giunge a un'autentica accettazione dell'incatenamento, in altre parole alla sua glorificazione. Accettazione, in effetti, è da intendere nel senso forte del termine, poiché è in questione la sincerità di coloro che vi si abbandonano, meglio ancora, il loro accesso possibile all'autenticità; in poche parole ne va dell'accesso al loro essere più profondo e più autentico. Da notare che uno dei motivi di attrazione più forti di questo incatenamento risiederebbe nel rifiuto del carattere ludico della società moderna, che gioca tanto con la libertà che con la verità. Accettare l'incatenamento vuol dire smettere di giocare, incatenarsi alla propria identità, alla verità di questa identità, vuol dire accettare, prendere su di sé la serietà della storia e dell'esistenza. Nessun dubbio che vi sia qui una critica della società moderna liberale, borghese, che cerca al tempo stesso più la sicurezza che la libertà e si compiace di un gioco fatto di assenza di convinzione e di irresponsabilità. In questo senso l'hitlerismo sarebbe una forza reattiva: "a un società in queste condizioni ... l'ideale germanico dell'uomo appare come una promessa di sincerità e di autenticità". Così, controcorrente rispetto ai grandi orientamenti della civiltà europea, l'incatenamento si rivelerebbe come il modo di esistere più autentico. Singolare inversione: mentre tradizionalmente l'immagine delle catene evoca la perdita della libertà, la riduzione in schiavitù, un attentato all'autonomia dell'io, improvvisamente si opera un rovesciamento di prospettiva tale che, una volta evacuata la questione della libertà, considerata un falso problema, "liquidata", la catena diviene il simbolo della coincidenza a sé, dell'identità infine riconquistata e accettata consapevolmente, di una verità dal sapore senza eguali. Di qui una nuova definizione dello spirituale in cui convergono la riabilitazione del biologico e la glorificazione dell'incatenamento, in cui si effettua senza posa un passaggio dall'uno all'altro. "Il biologico, con tutta la fatalità che comporta, diventa ben più che un oggetto della vita spirituale, ne diviene il cuore ... È in questo incatenamento al corpo che consiste tutta l'essenza dello spirito ... L'essenza dell'uomo non è più nella libertà, ma in una sorta di incantamento".
Credo che questo spieghi molto bene, meglio di come sono stato capace in [2], i sentimenti di chi milita nei movimenti no-gender. E perché abbiamo il diritto ed il dovere di mostrarne la contiguità con quelli dei nazisti antisemiti.

Raffaele Yona Ladu
Orgogliosamente ebreo

domenica 28 giugno 2015

Levinas contro i no-gender


Il testo [1] è del 1934, quindi uno fatica a capire come potrebbe applicarsi ad un movimento che ha pochi anni di vita, quello dei no-gender, visto che oltretutto l'autore è nato nel 1904 ed è morto nel 1994.

Purtroppo, questi movimenti hanno abbracciato dolosamente il presupposto fondamentale dell'hitlerismo che già nel 1934 Levinas aveva ferocemente criticato: l'idea che l'io non possa fare astrazione dal corpo, e vi sia anzi inchiodato.

Se per i nazisti questo significava che esistevano una "scienza ariana" ed una "scienza giudaica" (Levinas ha però cura di ricondurre le differenze tra le persone al retaggio storico - ma non cambia la situazione, perché per lui la filosofia dell'hitlerismo è soprattutto una filosofia dell'irrimediabile, dell'impossibilità per le persone di trascendere il loro passato, prima ancora che la loro biologia), e che ariani e non ariani non potevano essere concittadini, per i movimenti no-gender questo significa che le differenze corporee tra uomini e donne rendono impossibile per gli uni agire come le altre.

Quello che rimane implicito, ma che non manca di spaventare chi guarda oltre la superficie, è che, se uomini e donne sono essenzialmente diversi (quello che Levinas dice della razza per i nazisti vale per il sesso per i no-gender), questo significa che non possono discutere, e quindi condividere una verità od una decisione, perché le idee degli uni e degli altri diventano irrimediabilmente sessuate.

Se le idee non sono più aperte alla condivisione da parte di tutti gli esseri umani, appunto perché marchiate come "maschili" o "femminili", esse possono diffondersi soltanto se il gruppo umano che le abbraccia diventa padrone del mondo.

Ergo, riconoscere una diversa essenza negli uomini e nelle donne significa prescrivere loro di lottare blocco contro blocco per la supremazia sociale, culturale, politica. Inutile dire che i maschi, essendo coloro che l'hanno sempre esercitata, sono di gran lunga i favoriti.

Lévinas ricorda che la libertà non è soltanto approfittare di alcune facoltà, ma impegnarsi a riconoscere in ogni altra persona il proprio pari verso cui si è responsabili - se si è invece convinti che l'umanità sia divisa in gruppi irrimediabilmente resi eterogenei dai loro diversi corpi, questo riconoscimento è impossibile.

Riconoscere la differenza tra sesso e genere significa impedire all'io di lasciarsi inchiodare, ovvero "prendere coscienza della propria situazione sociale" per "affrancarsi dal fatalismo che essa comporta". Sono frasi marxiane che a Levinas piacciono poco, ma che lasciano aperta la possibilità per l'io di astrarsi dal corpo.

Pretendere di collassare il genere nel sesso equivale a far collassare l'essere nel corpo. Levinas non riconosce in ciò nulla di ebraico, e neppure di cristiano - cosa che può stupire molti cattolici delle ultime generazioni, nati dopo la mutazione avvenuta nella loro fede.

Si è cercato di superare la sessuofobia cristiana tradizionale, ma lo si è fatto in modo assai poco accorto, abbracciando una concezione essenzialistica della differenza sessuale (cosa non solo poco ragionevole, ma che già allontana dal dettato biblico), e poi identificando quest'essenza nel corpo - con le conseguenze che Levinas individua.

Secondo me, questo lo si è fatto per difendere il divieto delle donne cattoliche a ricevere il sacramento dell'ordine. Alimentare una filosofia che in passato ha portato alla dittatura ed al genocidio è stato considerato il male minore.

Raffaele Yona Ladu

Alcune questioni sulla filosofia dell'hitlerismo / Emmanuel Levinas

(prefazione dell'autore del 1990)

Questo articolo è apparso in "Esprit", rivista del cattolicesimo progressista d'avanguardia, nel 1934, pressappoco all'indomani dell'arrivo di Hitler al potere.

L'articolo procede dalla convinzione che l'origine della sanguinosa barbarie del nazionalsocialismo non sia in una qualche contingente anomalia della ragione umana, né in un qualche malinteso ideologico accidentale. In quest'articolo c'è la convinzione che tale origine attenga ad una possibilità essenziale del Male elemantale (Mal élémental) cui ogni buona logica può condurre e nei cui confronti la filosofia occidentale non si era abbastanza assicurata. Possibilità che s'inscrive nell'ontologia dell'essere che ha cura d'essere - dell'essere "dem es in seinem Sein um dieses Sein selbst geht", secondo l'esressione heideggeriana. Possibilità che minaccia ancora il soggetto correlativo all'esser-da-radunare e da-dominare (l'être-à-rassembler et à-dominer), questo famoso soggetto dell'idealismo trascendentale che innanzitutto si vuole e si crede libero. Dobbiamo chiederci se il liberalismo possa bastare alla dignità autentica del soggetto umano. Il soggetto raggiunge la condizione umana prima di assumere la responsabilità per l'altro uomo nell'elezione che lo eleva a questo grado? Elezione proveniente da un dio - o da Dio - che lo guarda nel volto dell'altro uomo, suo prossimo, "luogo" originale della Rivelazione.

E. L.

(testo)

La filosofia di Hitler è rudimentale. Ma le potenze primordiali che vi si consumano fanno esplodere la fraseologia miserabile sotto la spinta di una forza elementare. Destano la nostalgia segreta dell'animo tedesco. Ben più che un contagio o una follia, l'hitlerismo è un risveglio di sentimenti elementari.

Ma allora, spaventosamente pericoloso, diventa filosoficamente interessante. Perché i sentimenti elementari racchiudono una filosofia; esprimono la prima attitudine di un animo di fronte all'insieme del reale e al suo destino. Predeterminano o prefigurano il senso della sua avventura nel mondo.

Così la filosofia dell'hitlerismo va ben oltre la filosofia degli hitleriani. Pone in questione  i principî stessi di una civiltà. Il conflitto non si gioca solamente tra il liberalismo e l'hitlerismo. Il cristianesimo stesso è minacciato, malgrado le precauzioni o Concordati di cui si avvalgono le Chiese cristiane all'avvento del regime.

Ma non basta distinguere, come certi giornalisti, l'universalismo cristiano dal settarismo razzista: una contraddizione logica non potrebbe giudicare un avvenimento concreto. Il significato di una contraddizione logica che oppone due correnti di idee non appare pienamente se non la si riconduce alla fonte, all'intuizione, alla decisione originale che le rende possibili. È in questo spirito che esporremo qui alcune riflessioni.

1.

Le libertà politiche non esauriscono il contenuto dello spirito di libertà che, per la civiltà europea, significa una concezione del destino umano. È un sentimento della libertà incondizionata dell'uomo di fronte al mondo e alle possibilità che sollecitano la sua azione. L'umo si rinnova eternamente dinanzi all'Universo. Parlando in termini assoluti, non ha storia.

Perché la storia è la limitazione più profonda, la limitazione fondamentale. Il tempo, condizione dell'esistenza umana, è soprattutto condizione dell'irreparabile. Il fatto compiuto, travolto da un presente che fu, sfugge per sempre alla presa dell'uomo, ma grava sul suo destino. Dietro alla malinconia per l'eterno fluire delle cose, per l'illusorio presente di Eraclito, c'è la tragedia dell'inamovibilità di un passato incancellabile che condanna l'iniziativa a non essere che una continuazione. La vera libertà, il vero inizio, esigerebbero un vero presente che, sempre al culmine d'un destino, lo ricominciasse eternamente.

L'ebraismo apporta questo messaggio magnifico. Il rimorso - espressione dolorosa dell'impotenza radicale di riparare l'irreparabile - annuncia il pentimento generatore del perdono che redime. L'uomo scopre nel presente ciò che trasforma e fa dileguare il passato. Il tempo perde la sua stessa irreversibilità. Si piega sfinito ai piedi dell'uomo come una bestia  ferita. Ed egli lo libera.

Il sentimento bruciante dell naturale impotenza dell'uomo nei confronti del tempo costituisce tutta la tragicità della Moira greca, tutta l'acuità dell'idea di peccato e tutta la grandezza della rivolta del Cristianesimo. Agli Atridi, che si dibattono soffocati da un passato estraneo e brutale come una maledizione, il Cristianesimo oppone un dramma mistico. La Croce affranca; e attraverso l'Eucarestia, che trionfa sul tempo, questa liberazione diventa quotidiana. La salvezza che il Cristianesimo vuole portare vale come promessa di ricominciare il definitivo he si compie nel trascorrere degli istanti, di superare la contraddizione assoluta di un passato subordinato al presente, di un passato sempre in causa, sempre rimesso in questione.

In questo modo esso proclama la libertà, la rende possibile in tutta la sua pienezza. Non solo la scelta del destino è libera. La scelta compiuta non diventa un vincolo. L'uomo conserva la possibilità - soprannaturale certo, ma alla sua portata e concreta - di sciogliere il contratto nel quale si è liberamente impegnato. Egli può riacquistare in ogni istante la nudità dei primi giorni della creazione. La riconquista non è facile. Può fallire. Non è l'effetto del decreto capriccioso di una volontà collocata in un mondo arbitrario. Ma l'enormità dello sforzo richiesto equivale alla serietà dell'ostacolo, e sottolinea l'originalità del nuovo ordine promesso e realizzato che trionfa aprendo uno squarcio negli strati profondi dell'esistenza naturale.

Questa libertà infinita rispetto a  qualsiasi legame, per la quale, insomma, nessun legame sarà definitivo, è alla base della nozione cristiana dell'anima. Pur restando una realtà sommamente concreta, che esprime il fondamento ultimo dell'individuo, ha l'austera purezza di un anelito trascendente. Attraverso le vicissitudini della storia reale del mondo, il potere di rinnovamento dona all'anima come una natura noumenica, al riparo dagli attacchi di un mondo in cui l'uomo concreto è tuttavia installato. Il paradosso non è che apparente. Il distacco dell'anima non è un'astrazione, ma un potere reale e positivo di separarsi, di astrarsi. L'uguale dignità di tutte le anime, indipendentemente dalla condizione materiale o sociale delle persone, non deriva da una teoria che affermi, sotto le differenze individuali, una somiglianza della "costituzione psicologica". È dovuta al potere dato all'anima di liberarsi da ciò che è stato, da tutto ciò che l'ha coinvolta, da tutto ciò che l'ha impegnata - per ritrovare la sua prima verginità.

Se il liberalismo degli ultimi secoli evita l'aspetto drammatico di questa liberazione, ne conserva un elemento essenziale sotto forma di libertà sovrana della ragione. Tutto il pensiero filosofico e politico dei tempi moderni tende ad elevare lo spirito umano a un livello superiore alla realtà, scava un abisso tra l'uomo e il mondo. Rendendo impossibile l'applicazione delle categorie del mondo fisico alla spiritualità della ragione, pone il fondamento ultimo dello spirito al di fuori del mondo brutale e della storia implacabile dell'esistenza concreta. Sostituisce, al mondo ottuso del senso comune, il mondo ricostruito dalla filosofia idealista, permeato di ragione e sottomesso alla ragione. Al posto della liberazione attraverso la grazia c'è l'autonomia, ma il leitmotiv giudeo-cristiano della libertà la compenetra.

Gli scrittori francesi del XVIII secolo, precursori dell'ideologia democratica della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, malgrado il loro materialismo, hanno dato espressione al sentimento di una ragione che esorcizzasse la materia fisica, psicologica e sociale. La luce della ragione basta a dileguare le ombre dell'irrazionale. Che cosa resta del materialismo, quando la materia è intrisa di ragione?

L'uomo del mondo liberalista (liberaliste) non sceglie il suo destino sotto il peso di una Storia. Non conosce le sue possibilità come delle potenze inquiete che fremono in lui e lo orientano già verso un cammino determinato. Per lui vi sono soltanto possibilità logiche che si offrono ad  una ragione serena in grado di scegliere mantenendo perennemente le sue distanze.

2.

Il marxismo, per la prima volta nella storia occidentale, contesta questa concezione dell'uomo.

Lo spirito umano non gli appare più come la pura libertà, come l'anima che si libera al di sopra d'ogni vincolo: non è più la pura ragione che fa parte del regno dei fini. È in preda ai bisogni materiali. Ma, alla mercé di una materia e di una società che hanno smesso di obbedire alla bacchetta magica della ragione, la sua esistenza concreta e asservita ha più importanza, più peso di una razionalità impotente. La lotta, che preesiste all'intelligenza, gli impone decisioni che non aveva mai preso. "L'essere determina la coscienza". La scienza, la morale, l'estetica, non sono più morale, scienza, estetica in se stesse, ma esprimono in ogni istante l'opposizione fondamentale delle civiltà borghese e proletaria.

Lo spirito della concezione tradizionale perde quel potere di sciogliere tutti i legami di cui è sempre stato fiero. Si scontra con dei macigni che quella stessa concezione non riuscirà mai a scuotere. La libertà assoluta, quella che compie i miracoli, si trova bandita, per la prima volta, dalla costituzione dello spirito. Perciò il marxismo si oppone non soltanto al Cristianesimo, ma ad ogni liberalismo idealista per il quale "l'essere non determina la coscienza", ma la coscienza o la ragione determinano l'essere.

Per questo, il marxismo coglie in contropiede la cultura europea o, almeno, spezza la curva armoniosa del suo sviluppo.

3.

Tuttavia questa rottura col liberalismo non è definitiva. Il marxismo è cosciente di continuare, in un certo senso, le tradizioni del 1789, e il giacobinismo sembra ispirare in larga misura i rivoluzionari marxisti. Ma soprattutto, se l'intuizione fondamentale del marxismo consiste nell'aver colto lo spirito nell'ineludibile rapporto ad una situazione determinata, questa connessione non ha nulla di radicale. La coscienza individuale determinata dall'essere non è così impotente da non conservare - almeno in linea di principio - il suo potere di rompere l'incantesimo sociale che allora apparirà estraneo alla sua essenza. Prendere coscienza della propria situazione sociale vuol dire, per lo stesso Marx, affrancarsi dal fatalismo che essa comporta.

Una concezione veramente opposta alla nozione europea di uomo sarebbe possibile solo se la situazione a cui è inchiodato (rivé) non si aggiungesse a lui, ma costituisse il fondamento stesso del suo essere. Esigenza paradossale che l'esperienza del nostro corpo sembra realizzare.

Che cos'è secondo l'interpretazione tradizionale il fatto di avere un corpo? È sopportarlo come un oggetto del mondo esteriore. Il corpo pesa a Socrate come le catene che costringono il filosofo nella prigione di Atene; lo rinchiude come la tomba che gli è destinata. Il corpo è l'ostacolo. Spezza il libero slancio dello spirito, lo riconduce alle condizioni terrene, ma, come un ostacolo, è qualcosa da superare.

È il sentimento dell'eterna estraneità del corpo rispetto a noi che ha nutrito tanto il Cristianesimo che il liberalismo moderno Esso ha resistito a tutte le trasformazioni dell'etica, malgrado il declino subìto dall'ideale ascetico a partire dal Rinascimento. Se i materialisti confondevano l'io con il corpo, era a prezzo della negazione pura e semplice dello spirito. Essi ponevano il corpo nell'ambito della natura senza riconoscergli un rango d'eccezione nell'Universo.

Ora, il corpo non è soltanto l'eterno estraneo. L'interpretazione classica relega ad un livello inferiore e considera come una tappa da superare, quel sentimento d'identità tra il nostro corpo e noi stessi che alcune circostanze rendono particolarmente acuto. Il corpo non ci è solamente più vicino o più familiare del resto del mondo, non determina soltanto la nostra vita psicologica, il nostro umore e la nostra attività. Al di là di queste banali constatazioni, c'è il sentimento d'identità. Non ci affermiamo in questo calore unico del nostro corpo ben prima che il pieno sviluppo dell'Io pretenda di distinguersene? E non resistono forse ad ogni prova quei legami che, ben prima che si schiuda l'intelligenza, il sangue ha stabilito? In una pericolosa impresa sportiva, in un esercizio i cui gesti richiedono una perfezione quasi astratta a un soffio dalla morte, ogni dualismo tra l'io e il corpo deve scomparire. E nella situazione senza uscita della sofferenza fisica, il malato non sperimenta forse l'inscindibile semplicità del proprio essere, quando si rigira nel suo letto di dolore senza trovar pace?

Si direbbe che l'analisi riveli nel dolore l'opposizione dello spirito a questo dolore, una rivolta, un rifiuto di restarci e di conseguenza un tentativo di superarlo - ma questo tentativo non si caratterizza sempre come già disperato? Lo spirito ribelle non resta trattenuto nel dolore, ineluttabilmente? E non è questa disperazione che costituisce il fondamento stesso del dolore?

Accanto all'interpretazione data dal pensiero tradizionale d'Occidente che chiama questi fatti bruti e triviali e che li sa sminuire, può sussistere il sentimento della loro originalità irriducibile, il desiderio di custodire la loro purezza. Si darebbe nel dolore fisico una posizione assoluta.

Il corpo non è soltanto un accidente felice o infelice che ci mette in rapporto col mondo implacabile della materia - la sua aderenza all'Io vale di per se stessa. È un'aderenza alla quale non si sfugge e che nessuna metafora potrebbe far confondere con la presenza d'un oggetto esteriore: è un'unione il cui tragico sapore di definitivo nulla potrebbe alterare.

Tale sentimento d'identità tra l'io e il corpo - che, beninteso, non ha niente in comune col materialismo volgare - non permetterà dunque mai, a chi prendesse le mosse da esso, di ritrovare al fondo di questa unità la dualità di uno spirito libero che si dibatte contro il corpo a cui sarebbe stato incatenato. Per costoro, al contrario, è in questo incatenamento al corpo che consiste tutta l'essenza dello spirito. Separarlo dalle forme concrete in cui è già da sempre coinvolto significa tradire l'originalità dello stesso sentimento da cui conviene partire.

L'importanza attribuita al sentimento del corpo, di cui lo spirito occidentale non ha mai voluto accontentarsi, è alla base di una nuova concezione dell'uomo. Il biologico, con tutta la fatalità che comporta, diventa ben più che un oggetto della vita spirituale, ne diviene il cuore. La voce misteriosa del sangue, gli appelli dell'eredità e del passato di cui il corpo è l'enigmatico portatore, perdono la loro natura di problemi sottoposti alla soluzione di un Io sovranamente libero. L'Io non dispone, per risolverli, che delle incognite stesse di questi problemi. Ne è costituito. L'essenza dell'uomo non è più nella libertà, ma in una sorta di incatenamento. Essere veramente se stessi, non significa risollevarsi al di sopra delle contingenze, sempre estranee alla libertà dell'Io: ma, al contrario, prendere coscienza dell'incatenamento originale, ineluttabile, unico al nostro corpo; significa soprattutto accettare questo incatenamento.

Di conseguenza, ogni struttura sociale che annunci un affrancamento dal corpo e che non lo coinvolga diventa sospetta come un'abiura, un tradimento. Le forme della società moderna fondata sull'accordo di volontà libere non appariranno soltanto fragili e inconsistenti, ma false e menzognere. L'assimilazione degli spiriti perde la grandezza del trionfo dello spirito sul corpo. Diventa opera di falsificazione. Da questa concretizzazione dello spirito deriva immediatamente una società a base consanguinea. E allora, se la razza non esiste, bisogna inventarla!

Questo ideale dell'uomo e della società si accompagna ad un nuovo ideale di pensiero e di verità.

Ciò che caratterizza la struttura del pensiero e della verità nel mondo occidentale - l'abbiamo sottolineato - è la distanza che separa inizialmente l'uomo dal mondo delle idee in cui sceglierà la propria verità. Egli è libero e solo di fronte a questo mondo. È libero al punto che può fare a meno di ricoprire questa distanza, di effettuare la scelta. Lo scetticismo è una possibilità fondamentale dello spirito occidentale. Ma una volta annullata la distanza e colta la verità, l'uomo non fa certo a meno della sua libertà. Può riprendersi e tornare sulla propria scelta. L'affermazione cova già la futura negazione. Questa libertà costituisce tutta la dignità del pensiero, ma ne nasconde pure il pericolo. Nell'intervallo che separa l'uomo dall'idea si insinua la menzogna.

Il pensiero diventa gioco. Nella sua libertà l'uomo si compiace e non si compromette in senso definitivo con nessuna verità. Trasforma il suo potere di dubitare in mancanza di convinzione. non legarsi ad una verità diventa per lui non voler impegnare la propria persona nella creazione di valori spirituali. La sincerità divenuta impossibile mette fine ad ogni eroismo. La civilizzazione è invasa da tutto ciò che non è autentico, dai succedanei messi al servizio degli interessi e della moda.

È a una società che perde il contatto vivente dal suo vero ideale di libertà per accettarne le forme degenerate e che, senza vedere lo sforzo che questo ideale esige, si rallegra innanzitutto delle comodità che consente - è a una società in queste condizioni che l'ideale germanico dell'uomo appare come una promessa di sincerità ed autenticità. L'uomo non si trova più davanti a un mondo di idee in cui può scegliersi, con una decisione sovrana della sua libera ragione, la propria verità - egli è già legato ad alcune tra quelle, com'è legato fin dalla sua nascita a tutti coloro che sono del suo stesso sangue. Non può più giocare con l'idea, perché scaturita dal suo essere concreto, ancorata alla sua carne e al suo sangue, essa ne conserva la serietà.

Incatenato al suo corpo, l'uomo si vede rifiutare il potere di sfuggire a se stesso. La verità, per lui, non è più la contemplazione di uno spettacolo estraneo - essa consiste in un dramma di cui l'uomo stesso è l'attore. È sotto il peso di tutta la sua esistenza - che comporta dei dati su cui non si può più tornare - che l'uomo dirà il suo sì o il suo no.

Ma a cosa obbliga questa sincerità? Ogni assimilazione razionale o comunione mistica tra spiriti che non si fondi su una comunità di sangue è sospetta. E tuttavia il nuovo tipo di verità non potrebbe rinunciare alla sua natura formale e smettere di essere universale. La verità potrà ben essere la mia verità nel senso più forte di questo possessivo - essa deve però tendere alla creazione d'un mondo nuovo. Zarathustra non s'accontenta della propria trasfigurazione, scende dalla sua montagna e porta un vangelo. Ci sarà - ed è nella logica dell'ispirazione originaria del razzismo - una modificazione fondamentale dell'idea stessa di universalità. Essa dovrà far posto all'idea di espansione, perché l'espansione d'una forza presenta tutt'altra struttura dalla propagazione di un'idea.

L'idea che si propaga, si distacca essenzialmente dal suo punto di partenza. Malgrado l'accento unico che il suo creatore le conferisce, essa diventa di patrimonio comune. È sostanzialmente anonima. Appartiene a chi la accetta come a chi la propone. La diffusione di un'idea crea così una comunità di "maestri" ("maîtres") - è un processo di parificazione. Convertire o persuadere è crearsi dei pari. L'universalità d'un ordine nella società occidentale riflette sempre questa universalità della verità.

La forza è invece rappresentata da un altro tipo di propagazione. Chi la esercita non se ne separa. la forza non si disperde tra coloro che la subiscono. È tutt'uno con la personalità o la società che la esercitano, le accresce subordinando loro tutto il resto. Qui l'ordine universale non si stabilisce più come corollario dell'espansione ideologica - esso è questa espansione stessa che costituisce l'unità di un mondo di padroni (maîtres) e schiavi. La volontà di potenza nietzschiana che la Germania moderna ritrova e glorifica non è soltanto un nuovo ideale, è un ideale che apporta nello stesso tempo la sua forma propria di universalizzazione: la guerra, la conquista.

Ritroviamo qui delle verità ben note. Abbiamo tentato di ricollegarle ad un principio fondamentale. Può essere ci sia riuscito di mostrare che il razzismo non si oppone solamente a questo o a quel punto particolare della cultura cristiana e liberale. Che qui non è questo o quel dogma della democrazia, del parlamentarismo, del regime dittatoriale o della politica religiosa ad esser messo in causa. È l'umanità stessa dell'uomo.

(fine)

Versione tratta dall'edizione Quodlibet pubblicata a Macerata nel 1996. I corsivi sono nell'originale.

Raffaele Yona Ladu

sabato 27 giugno 2015

Strong 6106 ('Etzem = osso, essenza) contro una concezione essenzialista della differenza sessuale



Ho già sostenuto in [1] che i movimenti "no-gender" esprimono una teologia para-sacerdotale (P) che, anziché cercare un accordo con la teologia jahwista (J), come si dovrebbe fare nelle migliori versioni dell'ebraismo e del cristianesimo, ha optato per lo scontro frontale, in cui recluta masse di fedeli ignari - tra cui devo iscrivermi anch'io, non perché io sia un no-gender, ma perché non ho notato subito quello che sto per dirvi.

Rileggiamo un attimo Genesi 2:23, sia in ebraico (Biblia Hebraica Stuttgardensia Quinta) che in italiano (traduzione Shadal 1872 - alcune traduzioni cristiane commentate):
וַיֹּאמֶר֮ הָֽאָדָם֒ זֹ֣את הַפַּ֗עַם עֶ֚צֶם מֵֽעֲצָמַ֔י וּבָשָׂ֖ר מִבְּשָׂרִ֑י לְזֹאת֙ יִקָּרֵ֣א אִשָּׁ֔ה כִּ֥י מֵאִ֖ישׁ לֻֽקֳחָה־זֹּֽאת׃
E l’uomo disse: Questa finalmente è osso delle mie ossa, e carne della mia carne; questa deve chiamarsi Iscià [donna], poichè da Ish [uomo] fu tratta. 
I quattro link nelle citazioni puntano al Numero 6106 della Concordanza ebraica di Strong, ovvero alla parola ebraica עצם ('etzem), che significa sia osso che ... essenza, già in ebraico biblico.

Lo jahwista, pur non essendo un filosofo aristotelico, diffida qui chiunque si ispiri alla Bibbia dal ritenere che diverse siano le essenze dell'uomo e della donna.

Qui si trova l'elenco di tutti i 126 passi rinvenuti da Strong in cui appare la parola עצם ('etzem); quelli in cui è più evidente il significato di essenza qui li riporto:
Qui la parola viene usata al plurale, ma può essere intesa sia concretamente ("ossa") che astrattamente ("tutta la persona" = "l'essenza"):
Inoltre, l'espressione עצמך ובשרך אנחנו ('atzmekha u-vsarekha anachnu) = siamo il tuo osso e la tua carne, che ricorre in varie forme in questi passi:
indica comune essenza e vita (non necessariamente parentela - vedi 2 Samuele 19) - le stesse cose che Adamo riconosce in colei che verrà chiamata poi Eva, anche se usa un'espressione più enfatica: עצם  מעצמי ובשר  מבשרי ('etzem me-'atzmay u-vasar mi-besari) = osso delle mie ossa, carne della mia carne.

Credo che una visione essenzialista della differenza sessuale la si possa dichiarare preclusa dalla Bibbia. I teologi cattolici (e di altre confessioni cristiane) devono ricominciare daccapo; quelli ebrei, come ho mostrato in [2], sono stati più attenti.

Raffaele Yona Ladu



P. S.: Un'interessante obiezione che ho ricevuto, in un dibattito su Facebook, è questa: Adamo è un essere di terracotta, Eva di porcellana d'ossa (a dire il vero, la porcellana d'ossa era ignota al Vicino Oriente in epoca biblica).

Grammaticalmente, l'obiezione ha un senso: la preposizione מן (min), che si trova modificata in עצם  מעצמי('etzem me-'atzmay), può introdurre sia un complemento partitivo (da cui la lettura tradizionale "osso delle mie ossa", e quella che propongo, "essenza della mia essenza"), sia un comparativo di maggioranza.

Poiché l'ebraico biblico consente di sottintendere l'aggettivo che svaluta il secondo termine di paragone, עצם  מעצמי ובשר  מבשרי ('etzem me-'atzmay u-vasar mi-besari) lo si può intendere così: "essenza [più fine] della mia essenza, carne [migliore] della mia carne".

Però l'espressione עצמך ובשרך אנחנו ('atzmekha u-vsarekha anachnu) viene usata, nei passi citati, per avvertire l'interlocutore che si condividono con lui essenza e condizioni di vita, e si ha diritto perciò di essere trattati con favore - perciò ho scartato quest'interpretazione.

Se ne può riparlare.

Raffaele Yona Ladu

venerdì 26 giugno 2015

Udite Udite: il matrimonio egualitario è diritto costituzionale in tutti gli Stati Uniti d'America


La Corte Suprema USA ha appena sentenziato che il matrimonio egualitario è diritto costituzionale in tutti gli Stati Uniti d'America.

In [1] c'è qualche dettaglio in più, e qui mi limito a ringraziare coloro che hanno reso possibile questo, tra cui i tre giudici ebrei su nove della Corte Suprema USA (Ruth Bader Ginsburg, Stephen J. Breyer, Eliza Kagan).

Raffaele Yona Ladu

Primo trattato internazionale dello Stato di Palestina


L'articolo [1] informa che il Vaticano è il primo paese al mondo a stipulare un trattato con lo Stato di Palestina, sulle attività della chiesa cattolica nelle aree controllate dall'Autorità Palestinese.

Israele ha condannato la mossa come frettolosa e capace di diminuire le prospettive di pace, mentre il Vaticano spera che risvegli un processo di pace ormai letargico.

Noi che sosteniamo il principio dei "due stati per due popoli", ci complimentiamo con i palestinesi, e speriamo che il processo di pace riprenda.

Raffaele Yona Ladu

giovedì 25 giugno 2015

Per la Comunità di Base di Verona

Mi è stato chiesto di scrivere un contributo per la Comunità di Base di Verona, ed ho voluto pubblicarlo anche qui.

Cari lettori,

mi chiamo Raffaele Yona Ladu, sono il vicepresidente del Circolo ARCI Lieviti ( http://biqueer.blogspot.it/ ), la prima associazione italiana di persone bisessuali (che cioè amano persone di più di un sesso o genere) ed ho creato “Non è in cielo” ( http://non-e-in-cielo.blogspot.it/ ), un gruppo di studi ebraico-umanistici affiliato al Congresso Mondiale degli Ebrei GLBT [Gay, Bisessuali, Lesbiche, Trans].

L’enciclica papale “Laudato Sì” non si occupa soltanto di ecologia – dedica un paragrafo, il 155, ai rapporti dell’uomo con il proprio corpo, e tra gli uomini e le donne. Ve ne riporto il testo:
155. L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso. Affermava Benedetto XVI che esiste una «ecologia dell’uomo» perché «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere».[120] In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».[121]
[120]: DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI : Reichstag di Berlin : Giovedì, 22 settembre 2011
[121]: PAPA FRANCESCO : UDIENZA GENERALE : Piazza San Pietro : Mercoledì, 15 aprile 2015
I problemi che pone in me questo paragrafo cominciano con il concetto di “natura umana”.

La critica più comune ed efficace al concetto è che, poiché non c’è nulla che ci permetta di distinguere infallibilmente il “naturale” dall’“innaturale”, si rischia di dichiarare “innaturale” quello che non facciamo noi e le persone che conosciamo meglio, ma che altre persone lontane di cui non sappiamo nulla fanno senza danno per nessuno.

C’è però anche un altro aspetto: il pensiero ebraico rigetta questo concetto. Ve ne potete rendere conto leggendo questo brano che Adriano Fabris, nel suo libro “Il pensiero ebraico contemporaneo”, alle pp. 118-119, dedica ad Abraham Joshua Heschel (1907-1972), pensatore molto noto anche in Italia, ed apprezzatissimo anche da molti cattolici:
Definendo l'uomo come essere del pathos, il nostro autore individua nel trascendimento-di-sé, che si esprime nelle diverse modalità coscienziali, la caratteristica essenziale dell'uomo. "La condizione più caratteristica dell'uomo è la scontentezza per il mero essere, originata da una sollecitudine che non si può far derivare dal semplice essere capitati qui, dall'esserci [...] La coscienza dell'io si manifesta nel suo essere sollecitata" (Heschel, 1971, p.161). Tale trascendersi del pathos dell'uomo spinge il nostro autore ad affermare che propriamente non esiste una natura umana, qualcosa di determinante che condizioni necessariamente l'uomo. L'uomo non è mai finito, non è un essere immutabile. "L'essenza dell'uomo infatti non si esaurisce in ciò che egli è, ma in ciò che può essere" (Heschel, 1970, p. 215). Queste possibilità sono dischiuse nell'immagine che ogni uomo cerca e sceglie di sé. "L'immagine dell'uomo influisce sulla natura dell'uomo. Ogni tentativo di dedurre un'immagine della natura umana si riduce alla deduzione di un'immagine che già originariamente vi era insita" (Heschel, 1971, p.17).
Heschel pone quindi una dialettica tra essere uomo (human being) ed essere umano (being human): una dialettica tra natura e cultura. Heschel vuole affermare così che l'uomo può comprendersi pienamente solo nel suo essere umano, cioè nel dover-essere, e non nel suo semplice essere-uomo. (...)
Per questo pensatore, lo scopo dell’uomo non è vivere secondo natura, ma il trascendere la propria natura.

Dio non chiede ad Abramo solo di lasciare la propria terra e la propria famiglia d’origine (Genesi 12:1-3), ma di trascendere la propria natura per porre sé, la propria famiglia di elezione, e la propria discendenza al servizio di Dio; e lo scopo della liberazione degli ebrei dall’Egitto è farne un “popolo peculiare”, un “regno di sacerdoti ed una nazione santa” (Esodo 19:4-6), non di seguire una legge naturale.

Uno dei concetti più cari agli attivisti ebrei contemporanei di ogni paese è il “tiqun ha-‘olam = perfezionamento del mondo”: il mondo non va lasciato così com’è, perché Dio stesso ci chiede di cooperare con lui per migliorarlo. Non è solo il prendere atto che il male ha corroso un’opera magnifica, è il capire che Dio avrebbe voluto comunque che l’uomo continuasse il suo lavoro creatore.

Anche la circoncisione avrebbe questo significato: un midrash dice che uno dei carcerieri romani di rav Aqiva lo prese in giro perché circonciso - secondo quel romano, il pene era già a posto nel suo stato naturale, e pertanto la circoncisione era completamente superflua.

Aqiva rispose facendogli notare che quando lui era nato non gli avevano lasciato attaccato il cordone ombelicale. Il fatto che una cosa sia secondo natura non significa che la si debba lasciare inalterata; per un ebreo circoncidersi significa modificare la propria natura (oops ... il gioco di parole non è ebraico) per porsi al servizio di Dio.

Tutto questo ci permette di stabilire che il fare della natura un legislatore non ha origine nella Bibbia – ha origine nella filosofia stoica, di cui l’esponente più noto è Seneca.

Nel mondo antico il postulare una natura umana universale ha avuto il grande pregio di abolire le differenze sociali ed affratellare le persone; ora, sempre più spesso, il concetto di “natura umana” viene usato per dividere, e diventa difficile limitarsi ad un educato dissenso.

Infatti, fare appello alla “natura umana” per negare diritti a delle persone che agirebbero contro di lei non nuoce soltanto alle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans), nuoce anche agli ebrei ed a tutti coloro che rifiutano questo concetto.

Non per niente, l’antisemitismo che culminò nell’ideologia nazista, da Nietszche ad Heidegger, affermava che gli ebrei impedivano alla natura di seguire il suo corso, ed il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas, nel suo opuscolo del 1934 “Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo”, affermò che nel nazismo c’era un’idolatria della natura.

Direi perciò che il concetto di “natura umana” va usato con cautela.

Passando dalla natura umana alla differenza sessuale, grande tema che appassiona il pensiero religioso cristiano e filosofico in generale negli ultimi decenni, vorrei rassicurare i lettori: tutti sappiamo che la differenza sessuale esiste; ma ognuno la concepisce in modo diverso.

La concezione propugnata dagli ultimi pontefici, a partire almeno da Giovanni Paolo 2°, e che si ritrova anche in altre confessioni cristiane, è “essenzialista”. In filosofia l’essenza è “la realtà propria e immutabile delle cose, intesa soprattutto come la forma generale, l’universale natura delle singole cose appartenenti allo stesso genere o specie” (Dizionario di Filosofia Treccani, 2009), e qui nasce il serio problema.

Se si è convinti che la mascolinità e la femminilità siano “realtà proprie ed immutabili”, e che ogni uomo e donna non possano fare altro che incarnarli, questo significa che i rapporti tra i sessi sono fissati in una forma che viene fatta risalire al divino volere, ed ogni deviazione è pericolosa.

L’esperienza mostra invece che uomini e donne ricoprono ruoli sociali molto diversi a seconda dei tempi, dei luoghi e delle culture; se provate a studiare il modo in cui i vostri amici e parenti vivono il loro ruolo di genere, scoprite che ognuno lo interpreta a suo modo; e se cominciate a confrontare gli amici italiani con quelli stranieri, quelli che si riconoscono in un movimento ecclesiale con quelli che si riconoscono in un altro, quelli di una fede con quelli di un'altra, cominciate a rendervi conto dell'enorme variabilità di questi ruoli.

È bene chiedersi in che misura i diversi ruoli si dimostrino oppressivi, e modificarli, ma se lo scopo è ricondurli ad un modello prefissato, non si va molto lontano.

Chi si appella a questo modello lo basa su Genesi 1:27: “Maschio e femmina Iddio li creò”. La mia opinione è che si sta cadendo di nuovo nel medesimo errore commesso con Giosuè 10:12: “Sole, fermati in Gàbaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon”.

La Bibbia non è un trattato di biologia, così come non è un trattato di astronomia; è almeno dal tempo degli Amorei  (tra gli autori del Talmud, vissuti tra il 200 ed il 500 dell’era volgare) che gli ebrei danno di quel passo un’interpretazione allegorica, e cito per tutti un raffinato pensatore, Joseph Ber Soloveitchik (1903-1993), che scrisse:
I principi della creatività e della recettività, dell'agire e del subire, dello stimolare e dell'assorbire, dell'aggressività e della tolleranza, dell'iniziare e del completare, dell'emanazione illimitata di un essere trascendente e della misurata riflessione del cosmo, sono ritratti dal motivo duale della mascolinità e della femminilità all'interno della nostra esperienza religiosa ... La trascendenza incondizionata, creativa, infinita, e l'immanenza autocondizionata, ricettiva e finita di Dio sono simbolizzati dalla mascolinità e dalla femminilità.
Del resto, già il Talmud parla delle persone intersessuali (in cui la determinazione del sesso biologico è incerta – forse gli eunuchi di cui parlano Isaia 56:3 e Matteo 19:12 erano appunto intersessuali), ed i suoi autori non potevano perciò cullarsi nell’illusione che l’umanità si potesse dividere nettamente in maschi e femmine.

Come insegna Maimonide, se l’interpretazione letterale di un passo biblico si dimostra irragionevole (Geremia 32:21: “Tu conducesti il tuo popolo fuori dal paese d'Egitto (…) con mano potente e braccio steso”), o falsa (il già citato Giosuè 10:12: “Sole, fermati in Gàbaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon”), si deve passare ad un’interpretazione allegorica.

Parlando di modelli sociali, entra qui il discorso del “genere” o “gender”. Comincio semplicemente a dire che la differenza tra “sesso” e “genere” è questa: il sesso è il dato biologico, il genere quello psicologico e sociale.

Scendendo più in dettaglio, il modello più comune dell’“identità sessuale” la divide in quattro componenti:
  • Sesso biologico (in prima approssimazione, la struttura corporea);
  • Identità di genere (il sentirsi appartenere ad un gruppo di persone o ad un altro – per esempio, i maschi o le femmine);
  • Orientamento sessuale (il desiderio di stabilire relazioni intime [non solo di procurarsi la soddisfazione sessuale] con persone di un gruppo o di un altro – gli orientamenti più comuni sono l’eterosessuale [verso persone di un gruppo diverso dal proprio], l’omosessuale [verso persone del proprio gruppo], bisessuale [verso persone del proprio gruppo e di altri gruppi]; pedofilia e zoofilia non sono orientamenti sessuali, perché chi le pratica non desidera stabilire una relazione intima con le proprie vittime, ma solo sfruttarle sessualmente);
  • Ruolo di genere (il comportarsi come la società chiede ad un gruppo di persone o ad un altro – sempre per esempio, i maschi o le femmine).
Nella maggior parte delle persone (circa il 95%), non ci sono dubbi sul sesso biologico, l’identità di genere è allineata ad esso, e l’orientamento è eterosessuale. Quella che è una maggioranza statistica diventa una norma da seguire se si ha una concezione essenzialista della mascolinità e della femminilità; e con questa concezione non si ha sufficiente riguardo per la variabilità dei ruoli di genere a seconda dei tempi, dei luoghi e delle culture.

Cambiare il sesso biologico richiede trattamenti medico-chirurgici specializzati, dolorosi, costosi, ed ancora poco soddisfacenti; e cambiare identità di genere ed orientamento sessuale è assolutamente impossibile.

Lasciate perdere sia chi vi vuole spaventare dicendo che a scuola si vogliono rendere i bambini omosessuali, bisessuali, o transessuali (se anche ci si provasse, non si otterrebbe nulla), sia chi vi vuole abbindolare dicendo che si può smettere di essere omosessuali (le migliaia di omosessuali finiti sul rogo, o nei campi di concentramento nazisti, sono la macabra prova che non è vero; ed il 25 Giugno 2015 nel New Jersey è stata condannata per frode in commercio un'organizzazione ebraica chiamata JONAH che prometteva di curare una cosa che non è una malattia - l'omosessualità). L’unica cosa che si può cambiare con relativa facilità è il ruolo di genere, perché è un costrutto sociale.

E, guarda caso, gli ebrei e gli omosessuali avevano una caratteristica in comune per i nazionalisti alla cui ideologia avrebbe attinto il nazismo: non vivevano secondo la concezione che costoro avevano della virilità – quello che oggi chiameremmo “ruolo di genere maschile”.

Dovremmo aver imparato la lezione: imporre ruoli di genere troppo rigidi è molto pericoloso. Un conto è lottare contro l'oppressione e la violenza di genere, un altro aver paura del pluralismo sociale.

Quello che temono i “movimenti no gender” è che i ruoli di genere vengano cambiati in un modo che a loro non piace, prima ancora che vengano definitivamente sdoganate dalla società (la medicina e la psicologia lo hanno già fatto) l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità. E quando gli argomenti scarseggiano, fioriscono le panzane e gli appelli ad una non meglio chiarita volontà divina.

Rifiutare una visione “essenzialista” della differenza sessuale non vuol dire rifiutare la realtà di questa differenza. L’enciclica cade in questo errore quando dice: 
Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».
La frase “non è sano” in un dibattito squalifica chi la usa, perché le idee vanno confutate, non sottoposte a diagnosi psichiatrica; ora vi mostro una visione alternativa della differenza sessuale – non dico che sia la migliore, ma permette di capire che “ci sono più cose in cielo ed in terra che nella (…) filosofia” espressa nel paragrafo 155 dell’enciclica.

Dal 1983 esiste a Verona la comunità filosofica femminile Diotima, ispirata al “pensiero della differenza sessuale” di Luce Irigaray; che cosa loro intendano per “differenza sessuale” lo si può intuire da questo brano pubblicato in http://www.arcosricerca.it/Lavori/step/Il%20pensiero%20della%20differenza%20e%20la%20pedagogia%20della%20differenza%20sessuale.pdf
Non è dunque in riferimento a valori e qualità corrispondenti ad un supposto carattere biologico-sociale femminile, o ad una presunta essenza o identità dell'essere donna, che questo ordine si costituisce: perché questo avverrebbe in un regime di soggezione a quanto pensato dall'altro soggetto, obbligando le donne alla fantasia di una realtà fatta da altri. Questo ordine invece, che ha carattere di necessità perché corrisponde alla verità della differenza sessuale, viene alla luce generando i propri principi costitutivi in riferimento ai valori scaturiti dalle relazioni tra donne che hanno inteso valorizzare il proprio sesso per farsi soggetti.
Il brano è chiaro: una visione “essenzialista” della differenza sessuale fa delle donne l’incarnazione non della propria femminilità, ma delle fantasie che gli altri fanno su di loro. L’essere umano (non solo la donna) si costituisce nella relazione sociale, e, per quanto sia importante il dato biologico, non è il solo a determinarne carattere e scelte di vita.

Vogliamo discutere seriamente della differenza sessuale? Togliamo gli anatemi, anche e soprattutto quando travestiti da diagnosi, ed ammettiamo il pluralismo delle idee. Il resto verrà.

Raffaele Yona Ladu